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Meteorologia

FREDDO fuori stagione a fine MARZO: quanto è RICORRENTE? Il nostro STUDIO

Stiamo per vivere un’intensa fase di maltempo e gelo all’inizio della primavera astronomica. Un’ondata di freddo dai connotati decisamente invernali, ma altrettanto ricorrente in questo periodo dell’anno?

In questi giorni di emergenza legata alla pandemia che stiamo vivendo sul territorio nazionale, l’arrivo di una perturbazione gelida non sembra essere di buon auspicio. Il primo pensiero è sicuramente legato ad un possibile ritorno di raffreddori e sintomatologie causate da questo tipo di eventi fuori stagione; si pensa inoltre (e soprattutto) alla vegetazione, agli albori delle fioriture d’inizio primavera. Una perturbazione di questa portata è sicuramente capace di stroncare le fioriture e tardare la produzione ortofrutticola stagionale (considerando che vivremo nelle prossime 24 ore, temperature anche di 10 gradi sotto la media stagionale).

Questo ci potrebbe indurre a pensare che quello che stiamo per vivere rientra in una totale eccezionalità, in un contesto climatico ormai allo sbaraglio. Eppure è necessario (con dati alla mano) dare un’occhiata alla storia recente e dare un giudizio su quelli che sono stati gli eventi del passato per confrontarli (da un punto di vista prettamente numerico) con quello in procinto d’essere. Vediamo come!

Analisi dei dati delle terze decadi di Marzo (1920-2020) su scala nazionale

Abbiamo messo sotto la lente di ingrandimento le mappe di reanalisi delle ultime 100 decadi del mese di Marzo, considerando i dati reperibili sul web delle stazioni idrografico. Da questi dati abbiamo voluto estrapolare i giorni interessati da una perturbazione (con discriminante “isobare < 0°C 850 hPa), determinando la provenienza della massa d’aria (artico marittima/continentale, polare marittima/continentale) e classificando il range isobarico prevalente sempre alla quota di media montagna. Questi i risultati:

Da questo primo grafico si evidenzia come le perturbazioni di tipo “continentale” siano molto più distribuite nell’intervallo 1920-1980 e come le perturbazioni di tipo “artico-marittimo” siano una costante nell’intervallo fra il 1960 e i giorni nostri. Questo può essere comprovato da una presenza piuttosto rilevante dell’anticiclone russo-siberiano nella prima parentesi di tempo sovracitata, una figura barica che negli ultimi anni ha faticato a formarsi nel corso della stagione invernale.

Inoltre si può evidenziare come nell’ultimo ventennio questo periodo dell’anno sia soggetto a numerose giornate perturbate. Osserviamo nel grafico successivo i picchi termici raggiunti in queste decadi prese in esame:

Da questo secondo grafico si osserva una stretta corrispondenza fra portata di freddo e tipologia di massa d’aria: è evidente che una retrogressione continentale dai quadranti orientali abbia più possibilità di trasportare con sé una massa d’aria più fredda rispetto ad una perturbazione proveniente dal nord-atlantico. Si può notare come il periodo compreso fra il 1970 e l’inizio degli anni ’90 fosse carente di perturbazioni invernali tardive particolarmente fredde; nell’ultimo ventennio invece la ripresa è alquanto lampante.

Infine un’osservazione di tipo statistico: quasi la metà delle perturbazioni di questa decade (il 46%) è stata di tipo artico-continentale, il 30% di tipo artico-marittimo, il 22% polare continentale ed infine il 2% polare-marittimo.

Conclusioni

Su 100 anni, solo 42 sono rimasti a secco di perturbazioni tardive. Questo insieme agli elementi sovracitati, ci può far riflettere sulle elevate possibilità che in questo periodo dell’anno ci sia un rischio abbastanza elevato dell’arrivo di correnti fredde.

Ciò nonostante solo 6 perturbazioni hanno colpito la Penisola italiana raggiungendo isoterme a 850 hPa sotto i -6°C. L’ultimo episodio potenzialmente confrontabile (sia per tipologia di massa d’aria che per connotati termici) è quello del 24 Marzo 1998 ben 22 anni fa: in quell’occasione sul Lazio la neve si spinse fino a 200 metri (la Capitale vide episodi coreografici sui quartieri più alti). Furono imbiancati i Castelli Romani con accumuli compresi fra i 20 ed i 30 centimetri, con temperature piuttosto rigide a tutte le quote a causa dell’aria pellicolare (fino a -9°C in montagna).

Altri 3 episodi molto rigidi in successione storica furono quelli del 1948, 1949 e il 1958: entrambe le terze decadi del mese di Marzo furono interessate dall’afflusso di aria continentale. In particolare il mese di Marzo del 1949 fu uno dei più freddi dall’inizio delle rilevazioni: basti pensare che il 05 Marzo di quell’anno la temperatura minima all’Osservatorio del Collegio Romano raggiunse i -3,6°C. Del tutto eccezionale l’ondata di freddo tra il 22 ed il 23 Marzo 1958, dove sull’Europa centrale le isobare a 850 hPa raggiunsero valori intorno ai -16°C (all’altezza della Germania); sul monte Terminillo la minima assoluta del mese fu registrata in quei giorni e raggiunse i -10,6°C

In sintesi la perturbazione gelida che investirà la nostra penisola (e il Lazio) la prossima settimana, è da considerarsi assolutamente eccezionale. Ma non dimentichiamoci del passato!

Un ringraziamento a Luca Lucentini per la collaborazione 

Gabriele Serafini

Classe 1992, meteoappassionato dal 2011 e Tecnico Meteorologo WMO certificato DEKRA da Settembre 2019. Ha studiato ingegneria meccanica presso l’Università degli Studi Roma Tre e ha fondato la pagina Social di Meteo Lazio a Novembre del 2014, ideandola come gruppo di segnalatori da tutta l’omonima regione. Amante degli eventi climatici estremi nonché freddofilo, ha fondato l’Associazione Neve Appennino nel 2016. Dal 2017 è all’attivo di numerosi progetti scientifici con finalità di studio di microclimi d’interesse del Lazio e non solo.