L’AGRICOLTURA inquina PIÙ delle AUTO! Vediamo DOVE e PERCHÉ!
Inquina più l’agricoltura (e l’industria) del traffico. È il dato che emerge dall’analisi di Arpa Lombardia che ha presentato i dati del 2020 relativi alla presenza di Pm10, le famigerate particelle che indicano la qualità dell’aria.
Il paradosso è che nell’anno dei lockdown, durante il quale gli spostamenti con le auto sono nettamente diminuiti per via dello smart working, dell’impossibilità di uscire e della chiusura delle scuole e di molte attività, la diminuzione delle Pm10 è stata inferiore alle aspettative. Il miglioramento, registrato su base pluriennale, non è stato proporzionale alla riduzione del traffico durante il 2020.
A condizionare fortemente la qualità dell’aria, secondo gli studi dell’Arpa, sono ancora le caldaie (riscaldamenti), la combustione di legna (camini e stufe), le pratiche agricole (concimazione carica di nitrati) e alcune attività industriali. Il traffico automobilistico è solo una parte dell’inquinamento soprattutto in una regione come la Lombardia (molto industrializzata e dove si pratica diffusamente un’agricoltura intensiva).
Secondo Stefano Cecchin, presidente dell’Arpa Lombardia:”nel 2020 su tutto il territorio regionale è stato rispettato il valore del limite medio annuo di 40 µg/m³ per il Pm10. I dati sono comunque sorprendenti perché il lockdown, con il conseguente blocco del traffico veicolare, non ha portato a una significativa diminuzione dei giorni di superamento del valore limite giornaliero (50 µg/m³). Al contrario c’è stato un leggero incremento rispetto al biennio precedente, per il prevalere di fattori meteorologici negativi. Questo a dimostrazione che il traffico non è la principale causa dell’inquinamento“.
Le condizioni meteorologiche sono state comunque determinanti. Nei mesi di Gennaio, Febbraio e Novembre, in particolare, le condizioni sono state contraddistinte dalla presenza dell’alta pressione con tempo stabile, ventilazione scarsa e, soprattutto, precipitazioni inferiori ai valori minimi degli ultimi 15 anni. Questo ovviamente ha creato situazioni favorevoli alla permanenza e concentrazione degli inquinanti e, in diverse centraline, è stato superato il numero dei 35 giorni di sforamento. L’analisi dell’Arpa ha monitorato diverse sostanze per tutto l’anno. Si tratta di: NO2 (biossido di azoto), SO2 (ossido di zolfo), CO (monossido di carbonio), O3 (ozono), Pm10 (particolato con diametro inferiore o uguale ai 10 micron), PM2.5 (particolato con diametro inferiore o uguale ai 2.5 micron) e Benzene. Quello che emerge è che i livelli di NO2 (biossido di azoto quelli più direttamente riferibili al traffico veicolare) risultano i più bassi di sempre, con superamenti della media annua limitati a poche stazioni, quelli di Pm10 rispettano ovunque la media annuale, ma superano anche nel 2020 in modo diffuso i limiti sul numero massimo di giorni oltre la soglia di 50 µg/m3.
I superamenti del Pm2.5 sono stati circoscritti a un numero molto limitato di stazioni del programma di valutazione, mentre benzene, monossido di carbonio e biossido di zolfo sono ampiamente sotto i limiti. L’ozono, invece, ha fatto registrare un numero inferiore di sforamenti delle soglie d’informazione e di allarme rispetto agli anni precedenti, pur con un quadro di diffuso superamento degli obiettivi previsti dalla normativa per la protezione della salute e della vegetazione.
Quanto detto conferma la complessità del tema della qualità dell’aria. Talvolta risulta addirittura contraddittorio e necessita di un quadro di interventi che agiscano su una molteplicità di fattori. Dalla mobilità al riscaldamento domestico, dalle limitazioni delle emissioni in agricoltura alla riduzione dei fattori che determinano la formazione di particolato secondario in atmosfera. Insomma il semplice “stop alle auto più inquinanti” per qualche giorno non basta e anzi serve veramente a poco soprattutto in quelle realtà in cui agiscono molte altre fonti di inquinamento. (G.G.)