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Climatologia

Il clima in Italia: analisi attuale e previsioni per il futuro, in ottica di cambiamento climatico

Clima in Italia e in Europa: come il riscaldamento Globale e l’Oceano Atlantico influenzano il clima Italiano

Introduzione

Negli ultimi decenni, il clima in Italia e in tutta l’Europa ha subito cambiamenti significativi, influenzati in gran parte dal riscaldamento globale e come vedremo più avanti dalle dinamiche dell’oceano Atlantico. Questi fattori hanno avuto un impatto profondo sul nostro clima, determinando variazioni nelle temperature medie e nelle condizioni atmosferiche stagionali. In questo articolo, analizzeremo come il riscaldamento dell’oceano Atlantico e altri fenomeni globali stanno influenzando il clima italiano, offrendo una panoramica delle tendenze climatiche attuali e delle possibili evoluzioni nei prossimi anni.

Nell’articolo “Una guida alle tendenze stagionali in Italia” ci si era limitati a osservare il trend di incremento dell’indice East Atlantic (EA) a partire dal 1950, nel presente articolo si intende fornire una spiegazione personale più approfondita, con l’obiettivo di comprendere se tale tendenza possa invertirsi e come ciò influenzerebbe le future stagioni, incluso l’inverno.

Le Oscillazioni Climatiche del Passato e il Contesto Attuale

Prima di approfondire l’argomento, è opportuno chiarire l’andamento climatico del passato, analizzando i secoli precedenti.

Molti sono a conoscenza, almeno a grandi linee, delle variazioni delle temperature medie globali degli ultimi duemila anni. È risaputo che si sono succeduti il cosiddetto “periodo caldo medievale” e la successiva “piccola era glaciale”, che si sviluppò a partire dal 1400 e si protrasse fino al 1850, conducendo all’odierno periodo, caratterizzato dalle temperature più elevate degli ultimi due millenni, ovvero l’era contemporanea. Queste oscillazioni delle temperature globali sono ben rappresentate dal celebre grafico noto come “hockey stick”.

Grafico dell’hockey stick. L’aggiornamento attuale di tale grafico sarebbe fuori dall’immagine, talmente in alto da non poter essere qui rappresentabile. La “Temperature Anomaly” infatti è arrivata a 1.5, mentre l’ultimo valore su questo grafico risale al 2004 ed è poco più di 0.4.

 

Il termine “hockey stick” fa riferimento alla forma del grafico, che ricorda la sagoma di una mazza da hockey su ghiaccio di quelle visibili in molti film natalizi americani. Attualmente, l’aggiornamento dei dati mostrerebbe un’anomalia della temperatura di circa 1.5°C, con un incremento così rapido che non potrebbe essere contenuto nella rappresentazione grafica qui proposta.

Analisi dei dati climatici e smentita delle inesattezze comuni, altresì note come “bufale”

Nel corso del tempo, la temperatura media terrestre ha attraversato periodi più caldi e più freddi, come è naturale che sia. Tuttavia, molteplici affermazioni imprecise circolano riguardo alla portata di tali oscillazioni climatiche, spesso esagerando l’entità di alcuni eventi storici. Ad esempio, l’espressione “piccola era glaciale” è spesso mal interpretata, poiché può indurre a pensare che durante il suo periodo più freddo, attorno al 1600, la temperatura media sulla Terra fosse di diversi gradi inferiore rispetto a quella attuale.

In realtà, le ricostruzioni climatologiche indicano che la differenza rispetto alla media contemporanea (1979-2000) era di meno di un grado Celsius. Analogamente, durante il “periodo caldo medievale” (noto per essere particolarmente siccitoso da rilevazioni fatte sugli anelli degli alberi nei boschi delle Alpi), le temperature erano solamente di circa 0.2°C inferiori alla media del XX secolo. Pertanto, la “piccola era glaciale” non è in alcun modo paragonabile a una vera era glaciale. Nonostante ciò, le cronache del tempo testimoniano episodi di freddo intenso, come la regolare gelata della Senna nel XVIII secolo, che consentiva persino lo svolgimento di fiere sul fiume.

Europa: il suo ruolo centrale nelle variazioni climatiche sulla Terra

Dall’analisi dei dati storici emerge come l’Europa abbia tendenzialmente amplificato le variazioni climatiche globali: durante i periodi di riscaldamento globale, il continente europeo ha registrato un incremento delle temperature superiore alla media globale; allo stesso modo, durante le fasi di raffreddamento, l’Europa ha sperimentato una diminuzione termica più pronunciata. Il nostro continente mostra dunque un’estremizzazione dei trend climatici del nostro pianeta. È importante sottolineare che, in questo contesto, il termine “estremo” non si riferisce alla rapidità del cambiamento climatico, bensì all’intensità delle anomalie riscontrate.

Per esempio, la transizione dal periodo caldo medievale alla piccola era glaciale è stata graduale, con un progressivo aumento degli inverni rigidi a partire dal XV secolo e un consolidamento del freddo nei successivi due o tre secoli. In altre parole, il passaggio da un apice termico a una fase di raffreddamento su scala globale richiede generalmente diverse centinaia di anni. Ciò che risulta degno di nota, tuttavia, è l’intensità del raffreddamento registrato in Europa rispetto ad altre regioni del globo.

 

In climatologia, si parla di “coldspot climatico” per indicare l’Europa durante la piccola era glaciale, ossia una delle aree con le anomalie negative più marcate a livello globale. Al contrario, nell’era contemporanea, l’Europa viene considerata un “hotspot climatico”, poiché presenta tra le anomalie positive più significative del pianeta. Questo rende il continente uno dei principali contributori al trend delle temperature medie globali.

Il ruolo dell’oceano Atlantico sull’Europa tra ciò che è noto nella ricerca è ciò che è ignoto

Le variazioni lente ma significative delle temperature europee indicano, in ambito fisico, che tali cambiamenti sono legati a meccanismi fondamentali del funzionamento del sistema climatico globale. Per comprendere il clima del continente europeo e le possibili evoluzioni future, è necessario approfondire questi meccanismi, tra cui il ruolo cruciale dell’oceano Atlantico e della corrente del Golfo. A differenza di altre regioni come gli Stati Uniti, dove il clima è influenzato in modo rilevante dal fenomeno ENSO (El Niño-Southern Oscillation), le dinamiche climatiche europee sono strettamente connesse all’oceano Atlantico e al suo legame con il Mar Glaciale Artico.

 

Attualmente, il contributo della corrente del Golfo al clima europeo viene spesso spiegato attraverso un approccio termodinamico: analogamente a un mare o a un lago che contribuisce a mitigare il clima delle aree circostanti, anche l’oceano Atlantico agisce allo stesso modo sul continente europeo. Di conseguenza, un raffreddamento delle acque oceaniche comporterebbe un abbassamento delle temperature in Europa, mentre un riscaldamento dell’oceano si tradurrebbe in un aumento delle temperature sul continente. Ciò avviene poiché i venti prevalenti, che circolano attorno al pianeta da ovest verso est, trasportano le proprietà termiche dell’oceano direttamente sull’Europa.

 

Tuttavia, questa spiegazione risulta a mio parere riduttiva. L’oceano Atlantico esercita un’influenza ben più profonda, che va oltre la semplice trasmissione termica, impattando anche sulla circolazione atmosferica. È proprio in questo contesto che si possono comprendere meglio i periodi di forte caldo che hanno caratterizzato l’attuale era contemporanea e quella medievale, così come i periodi di freddo intenso della piccola era glaciale. L’evoluzione della circolazione atmosferica, strettamente collegata allo stato termico dell’Atlantico, gioca un ruolo cruciale nelle anomalie climatiche europee. Le variazioni lente ma significative degli indici come la NAO (North Atlantic Oscillation) e l’EA (East Atlantic) nel corso dei secoli riflettono l’interazione tra l’oceano e l’atmosfera, suggerendo che la circolazione atmosferica si adatta ai cambiamenti termici dell’oceano, portando a scorrere sull’oceano flussi di aria fredda dalla regione artica o, alternativamente, aria calda dalle regioni subtropicali come le isole Azzorre. In sostanza, la variazione del contenuto di energia immagazzinato dall’oceano Atlantico viene bilanciato da flussi di aria dalla caratteristica opposta. Questa spiegazione viene da un principio noto come “equazione del bilancio termodinamico”.

Le conseguenze in Europa dell’equazione del bilancio termodinamico

Il meccanismo del bilancio termodinamico, che comporta modifiche alla circolazione atmosferica sull’Atlantico, è ininfluente nell’oceano Pacifico, poiché quest’ultimo non è direttamente collegato al Mar Glaciale Artico. Di conseguenza, un eventuale raffreddamento o riscaldamento eccessivo del Pacifico non altererebbe in maniera significativa gli equilibri climatici globali, rendendo i fenomeni climatici tipici del Pacifico, come l’ENSO (El Niño-Southern Oscillation), di breve durata e limitati a regioni specifiche.

 

In Atlantico invece il bilancio termodinamico agisce nel modo seguente: quando le temperature globali si abbassano, anche gli oceani, incluso l’Atlantico, subiscono un raffreddamento. Mentre il raffreddamento del Pacifico non produce cambiamenti rilevanti, quello dell’Atlantico attiva un meccanismo di bilancio termodinamico che spinge l’anticiclone delle Azzorre verso le latitudini settentrionali. Questo scenario è spesso accompagnato da flussi di calore provenienti dalle Azzorre diretti verso le Svalbard, con la circolazione atmosferica che compensa il raffreddamento portando masse di aria calda sull’oceano. Nel contempo, l’espansione dell’anticiclone delle Azzorre facilita la discesa di masse di aria fredda dalla Scandinavia e dalla Russia verso il Mediterraneo. Questo potrebbe spiegare la frequenza di inverni rigidi durante la piccola era glaciale, a causa delle ripetute discese di aria gelida da nord-est.

Al contrario, nell’era contemporanea, l’aumento delle temperature globali e il riscaldamento dell’oceano Atlantico hanno portato a un adattamento della circolazione atmosferica, con flussi di aria artica che scendono dalle Svalbard verso le Azzorre. In questo contesto, l’aria fredda scorre sull’oceano Atlantico, mentre l’Europa viene interessata da incursioni dell’anticiclone africano, dall’Algeria e dal Marocco, generando così periodi di caldo intenso su vaste aree del continente.

Implicazioni dell’equazione del bilancio termodinamico sull’EA e le dinamiche meteorologiche

Dati alla mano, il cambiamento della circolazione atmosferica sopra descritto è rappresentato dall’indice East Atlantic (EA), che mostra un aumento consistente negli ultimi decenni. Ma perché l’EA risponde in modo così marcato ai cambiamenti dell’oceano Atlantico? Come spiegato, l’oceano caldo tende ad attirare venti freddi di origine artica, favorendo così la formazione di depressioni atlantiche che si spingono verso le coste europee, influenzando il clima di paesi come l’Irlanda, che sperimentano fasi di maltempo e temperature più fresche. Al contempo, un anticiclone subtropicale si sviluppa dal Nord Africa e si espande verso la penisola Iberica e il resto dell’Europa, generando un’anomalia positiva di pressione sul Portogallo.

La situazione opposta si verifica quando l’Atlantico si raffredda: in tal caso, l’anticiclone delle Azzorre si espande verso le isole britanniche per poter portare l’aria calda sulla regione polare, e si osserva un’anomalia di pressione positiva sull’Irlanda e negativa sul Portogallo. In sintesi, l’Atlantico caldo favorisce un EA positivo, mentre un Atlantico freddo è associato a un EA negativo.

Scenario ricorrente nell’era contemporanea, specie dopo il 2014. Scenario EA+, trasporta aria fredda dalle Svalbard verso le Azzorre. Fonte: mio lavoro di tesi
Scenario ricorrente nell’era preindustriale, per tutta la Piccola Era Glaciale? Il punto di domanda è dovuto al fatto che non esistono ricostruzioni del tempo meteorologico antecedenti al 1836. Scenario EA-, trasporta aria calda dalle Azzorre verso le Svalbard. Fonte: mio lavoro di tesi

Meccanismi climatici noti nella ricerca: gli impatti del riscaldamento globale sull’Italia

La ricerca scientifica ha fornito ulteriori evidenze sui cambiamenti climatici in corso. Un recente studio ha ricostruito l’andamento dell’EA dal 1700, mostrando che l’indice è rimasto prevalentemente negativo fino alla metà del XX secolo, quando è iniziata la sua fase di crescita. Un altro studio ha ricostruito le temperature medie dell’emisfero boreale dal 1000 d.C. a tutte le latitudini, mostrando come le variazioni della temperatura media terrestre siano state influenzate dalle condizioni della regione artica e delle medie latitudini. Durante i periodi di raffreddamento dell’Artico, come nel XIX secolo, si è osservato un abbassamento delle temperature anche in Europa e a livello globale, evidenziando ancora una volta l’importanza dell’oceano Atlantico come regolatore dei cambiamenti climatici nella regione artica e la sua influenza sulle temperature terrestri. Lo stesso studio inoltre ha mostrato che fra alcuni possibili fattori di influenza della temperatura dell’artico vi era la temperatura dell’oceano Atlantico, mentre nell’era contemporanea la correlazione trovata è con il riscaldamento globale. Una spiegazione di questo cambiamento risiede appunto nel fatto che l’attuale condizione dell’oceano Atlantico dipende in realtà dal riscaldamento globale.

Finora, si è messo in evidenza il ruolo preponderante dell’oceano Atlantico nella determinazione delle condizioni meteorologiche in Europa, nonché il suo impatto sul cambiamento del clima durante le variazioni globali, come l’attuale era del riscaldamento globale. Tuttavia, altri meccanismi concorrono a modificare il clima europeo. Uno dei fenomeni più rilevanti, riconosciuto dai modelli climatici, è lo spostamento verso sud della corrente a getto, un flusso di vento ad alta velocità che circumnaviga il pianeta da ovest a est. La posizione della corrente a getto influisce notevolmente sui pattern meteorologici: quando si abbassa di latitudine, il clima in Italia diventa più caldo e secco, mentre un innalzamento della corrente a getto si associa a condizioni più fredde e instabili.

 

Immagine 1: corrente a getto bassa posizionata circa a 50 nord di latitudine (freccia verde), le frecce nere indicano la direzione di propagazione delle onde di Rossby originate dalla corrente a getto. Con lo sfondo rosso e le “H” si indicano le posizioni delle alte pressioni, sfondo blu e lettere “B” le basse pressioni. L’onda prodotta dalla corrente a getto richiama l’anticiclone sull’Europa, una bassa pressione sul Sahara a sud. Richiama invece circolazioni cicloniche sul nord Atlantico, isole Britanniche e Scandinavia e anticicloni polari a nord. 

Immagine 2: corrente a getto alta posizionata a circa 70 nord di latitudine. In questo caso l’onda prodotta dalla corrente a getto sul lato sud richiama anticicloni sul centro-nord Atlantico e centro-nord Europa, basse pressioni sul sud Atlantico ed Europa meridionale e alte pressioni sul Sahara. A nord della corrente a getto si rinforza invece la bassa pressione polare (nota anche come vortice polare)

Si osserva quindi che la posizione della corrente a getto si lega all’East Atlantic che risulta positivo se la corrente a getto scende di latitudine (immagine 1) mentre risulta negativo se la corrente a getto sale di latitudine (immagine 2). Nel primo caso caldo e siccità caratterizzano il clima dell’Italia, maltempo e freddo nel secondo caso. Nella prima immagine poi flussi di aria artica tendono a riversarsi sull’oceano, mentre nell’immagine di destra si rinforzano i flussi di aria calda verso la regione artica. Lo spostamento a sud della corrente a getto causato dal riscaldamento globale quindi aiuta l’oceano Atlantico nel richiamare a se i venti artici. Questo meccanismo ha alla base, di nuovo, il problema del riscaldamento globale ed agisce come il bilancio termodinamico nel modificare la circolazione atmosferica del nostro continente.

Tutti questi meccanismi (qui ne abbiamo visti due) interagiscono tra loro con un unico obiettivo. In effetti la discesa di latitudine della corrente a getto, che è una teoria valida per l’intero pianeta, potrebbe dare i suoi massimi effetti proprio sull’oceano Atlantico per via del suo collegamento col Mar Glaciale Artico.

Conclusioni: possibili scenari climatici e l’urgenza della decarbonizzazione nel mondo

Le considerazioni svolte finora evidenziano che, fintanto che le temperature medie globali continueranno ad aumentare e l’oceano Atlantico subirà un ulteriore riscaldamento, quest’ultimo continuerà ad attirare verso di sé masse di aria fredda provenienti dalle regioni artiche. È un dato di fatto ormai consolidato che, durante i nostri inverni, si osservano sempre meno flussi di calore provenienti dalle Azzorre diretti verso le Svalbard, con una conseguente diminuzione dei pattern meteorologici che in passato erano responsabili delle ondate di freddo in Italia. Osservando le carte meteorologiche in inverno si è notato come, negli ultimi anni, i flussi di calore diretti verso il Polo Nord siano stati associati principalmente a un numero d’onda pari a 1, con una singola cresta anticiclonica che opera nel portare i flussi di calore verso il polo,prevalentemente prevalentemente sul settore del Pacifico. Al contrario, la dinamica atmosferica sull’Atlantico appare meno attiva, probabilmente a causa del riscaldamento delle acque atlantiche che, per evitare di scaldare il Mar Glaciale Artico, richiamano masse d’aria fredda dalle latitudini polari. La diminuzione dei flussi di calore verso il polo, di per sé, è stata prevista anche da diversi studi scientifici che analizzano le conseguenze del riscaldamento globale.

 

In modo inesorabile, l’indice EA continuerà a registrare un aumento fino a quando le temperature globali manterranno il loro trend ascendente. È opportuno precisare che queste conclusioni rappresentano una riflessione personale basata su evidenze empiriche e risultati parziali della ricerca. Tuttavia nelle mie ipotesi, per ritornare a condizioni climatiche più simili a quelle degli anni ‘900, caratterizzate da inverni con nevicate significative anche a basse quote, sarebbe indispensabile un’inversione del trend di riscaldamento globale. Non sarebbe necessario tornare ai livelli di temperatura di 80 anni fa: basterebbe ritornare ad avere una diminuzione delle temperature medie globali e quindi di quelle dell’oceano Atlantico e dell’Artico per innescare un cambiamento nella circolazione atmosferica su vasta scala. Al contrario, l’attuale tendenza sembra puntare in direzione opposta, con un riscaldamento continuo che favorisce una maggiore frequenza di masse d’aria calda tropicale e subtropicale su tutto il continente europeo. Nei prossimi anni, soprattutto al prossimo evento El Niño di tipo forte, non escluderei la possibilità che si registrino in Italia temperature di 30°C anche durante il cosiddetto “semestre freddo” (da novembre ad aprile), principalmente a causa dell’espansione degli anticicloni africani, sempre più persistenti.

 

Di fronte a queste previsioni, l’Italia e l’Europa nel loro complesso si configurano come aree particolarmente vulnerabili, con il rischio di sperimentare le conseguenze più drammatiche di un cambiamento climatico accelerato prima che gli impatti diventino evidenti su scala globale. Diventa quindi imprescindibile un impegno collettivo verso la decarbonizzazione delle economie, al fine di evitare che molte aree del pianeta si trasformino in paesaggi e climi radicalmente diversi da quelli che conosciamo oggi. L’urgenza di adottare politiche sostenibili e di ridurre le emissioni di gas serra non può più essere trascurata, se si desidera preservare la stabilità climatica.

Claudio Giulianelli